Spine e colori e, in certi casi, dolori. Sono i ricci del nostro mare, inseriti nella nostra alimentazione e per questo oggetto di una pesca troppo intensiva.
Il Paracentrotus lividus, nome scientifico del riccio di mare, sono organismi marini appartenenti al Phylum degli Echinodermi. Spesso definito come “riccio femmina”, per distinguerlo da Arbacia lixula la specie non commestibile, è un organismo fotofobico che tende a ripararsi dalla luce utilizzando tutto quello che trova (alghe, conchiglie e piccoli pezzi di roccia).
Il suo scheletro risulta schiacciato e ricoperto da aculei, più corti dell’Arbacia, di colorazione varia ( rossi, marroni o verdastri). Predilige fondali rocciosi dalla superficie fino ai 100 mt di profondità.
In acquario sconsiglio di inserirlo, nonostante il suo fascino e i colori, per via della sua tendenza a “brucare” le rocce danneggiando le alghe presenti. In generale, tende a restare nascosto in anfratti o rocce per la maggior parte della giornata.
In passato, mi capitò di trovare giovani esemplari girovagare per la vasca, probabilmente nati o inseriti accidentalmente con le rocce.
Come già detto, i ricci sono considerati un piatto molto ambito nella cucina italiana e ciò a generato una pesca smisurata e senza limiti. Per fortuna, oggi è prevista un decreto ministeriale che limita il quantitativo di ricci da poter prelevare. Nonostante questo, in molte zone della nostra penisola, i ricci sembrano spariti o quasi.. un altro duro colpo al nostro mare.
Limitiamoci, quindi, ad osservarli in mare durante le nostre apnee😉